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Pet Therapy

Il termine Pet Therapy deriva dall’unione di: pet o animale d’affezione e therapy o terapia, cura. In italiano dovrebbe stare a designare: una "terapia assistita dagli animali" (Istituto zooprofilattico di Teramo), un "uso terapeutico degli animali da compagnia" (Utac), o una "terapia aiutata con gli animali".

Nonostante il termine venga utilizzato in modo generico, con pet therapy si intendono due tipi di trattamento con gli animali:

Il primo consiste nelle ATTIVITA’ ASSISTITE DA ANIMALI (L’ANIMAL- ASSISTED ACTIVITIES) che consentono di migliorare la qualità di vita del paziente ed è indicato, ad esempio, nel caso in cui vi sia la necessità di rendere più lieve la permanenza di una persona, giovane o anziana che sia, in una struttura nella quale si trova momentaneamente ospite.

Il secondo consiste nella TERAPIA ASSISTITA DAGLI ANIMALI (L’ANIMAL ASSISTED THERAPY), le cui possibilità d’impiego sono maggiormente variegate. Essa può, infatti essere espletata attraverso le attività di recupero di adulti con disabilità comportamentali e di sviluppo, condotte con l’ausilio di psicoterapeuti, fisioterapeuti o educatori, al fine di migliorare le capacità di comunicazione e di relazione sociale dei pazienti. Tra gli obiettivi più diffusi di applicazione di questa specifica pet therapy ci sono quelli FISICI, DI SALUTE MENTALE, MOTIVAZIONALI ED EDUCATIVI.

In generale, il principio della pet therapy si basa sull’utilizzo del rapporto speciale che certe persone instaurano con gli animali per favorire il processo terapeutico (psicologico, fisico e sociale). I contatti che si instaurano tra animale e paziente accelerano e facilitano i rapporti con i terapeuti, contribuiscono a rendere la situazione meno stressante, facilitano l’esercizio fisico e favoriscono il dialogo.

Gli animali impiegati per tale tipo di terapia sono molteplici (cani, delfini, cavalli maggiormente, ma anche: gatti, uccelli) e la scelta su quale di essi sia più idoneo per ognuna delle persone che la suddetta terapia utilizzano è determinata valutando approfonditamente le esigenze psicologiche, fisiche e relazionali dell’utente in questione. Non solo, ma una volta circoscritto l’ambito di scelta, l’analisi è necessario che continui affinchè si individui, all’interno della specie prescelta, quel particolare animale che racchiuda in sé le caratteristiche peculiari adatte alla persona in questione.

In proposito, è stato sottolineato più volte e da più esperti che lavorano nel settore,quanto un errore di valutazione nella scelta dell’animale da utilizzare possa causare problemi anche molto gravi per il paziente sottoposto alla terapia. Per evitare ciò, è necessario sentire il parere di un esperto in comportamento animale, sia esso un etologo, un veterinario, un addestratore di cani, un terapeuta comportamentale, che conosca i comportamenti "normali" e l’organizzazione sociale della specie da coinvolgere nei programmi di terapia. Le ragioni principali di tale approccio fanno capo a tre questioni importanti: 1.Gli animali scelti verranno accuditi in maniera adeguata, evitando futuri problemi; 2.Conoscendo le basi biologiche della "normale" relazione uomo-animale, è possibile impiegarli nel modo migliore per i fini della terapia, 3.E’ più facile, così, salvaguardare il benessere psicofisico degli animali.

In generale, il principio della pet-therapy si basa sull’utilizzo del rapporto speciale che certe persone instaurano con gli animali domestici per favorire il processo terapeutico, sia esso psicologico, fisico, sociale o una combinazione di questi.

Interessante è, a mio avviso, la particolare interpretazione che degli animali utilizzati in terapia dà il professor Larocca, dell’Università di Verona, che definisce questi ultimi dei "mediatori educativi pre-simbolici". Secondo lo studioso, l’animale rappresenta il terzo elemento di una relazione d’aiuto tripartita costituita da paziente, terapeuta e animale che fa da mediatore. Il privilegio detenuto da quest’ultimo consiste nell’essere un "acceleratore di relazioni umane"; il tutto viene reso possibile grazie alla capacità che gli animali hanno di relazionarsi con l’uomo con un linguaggio pre-simbolico, che è lo stesso utilizzato dal "cervello emotivo", a cui fa capo la comunicazione analogica. Secondo Larocca, nei soggetti con difficoltà cognitive, si nota la prevalenza ad utilizzare, la comunicazione analogica piuttosto che quella numerica.

Rimanendo all’interno della teoria della potenzialità degli animali nella comunicazione analogica con l’uomo, cani, cavalli, delfini principalmente, ma anche conigli, cavie, gatti, canarini si ritiene:

Aiutino il movimento fisico a misura delle possibilità del disabile,

Aiutino a conoscere in diretta la natura, la diversità, i limiti dei cicli vitali, sia biologici che sessuali;

Stimolino l’elaborazione del linguaggio verbale a partire dai toni della voce, aiutino a conoscersi e a migliorare la propria immagine dinamica;

Aiutino ad individuare i segnali non-verbali nella comunicazione,

Sviluppino la fiducia in se stessi,

Inducano a esperienze di movimenti nuovi, di modi inediti di comportarsi, di sentire e di essere;

Stimolino l’elaborazione di un linguaggio "propriocettivo";

Offrano un senso di protezione e quello di un legame di dipendenza e di cura,

Aiutino ad apprendere e ad interiorizzare il senso di responsabilità;

Fungano da valvola di sfogo emotivo.

ALCUNI CENNI STORICI

Già nell’Egitto dei Faraoni, il cane era considerato sacro al dio Anubis, protettore della medicina. Divinità dei popoli Caldei, Sumeri e Greci erano accompagnati da animali d’affezione; nell’antica Grecia si pensava che un non vedente avrebbe immediatamente riacquistato la vista, non appena fosse stato leccato da un cane santo.

Addirittura nel IX sec. si ha notizia di un programma di terapia assistita da animali a Geel, in Belgio, per curare i disabili.

Nel XVIII sec., in Gran Bretagna, negli ospizi per disabili mentali venivano usati animaletti di piccole dimensioni col fine di insegnare ai pazienti a prendersi cura di creature più deboli di loro. In Germania, fin dal 1867, si utilizzavano animali in centri per la cura dell’epilessia e dei disabili.

All’inizio del XX sec., Francia e Stati uniti fecero ricorso ai cani per aiutare i reduci della Prima Guerra mondiale, afflitti da sindromi ansiose e depressive; altrettanto si fece alla fine della Seconda Guerra mondiale.

I paesi anglosassoni sono stati i pionieri dei primi veri e propri studi scientifici, a partire dagli anni ’50, soprattutto con Borris Levinson, psichiatra infantile. Egli si accorse, infatti, che la presenza del suo cane Jingles alle sedute di trattamento di bambini con disturbi psichici favoriva la capacità di comunicazione dei bambini stessi. Da quegli episodi trasse spunto per documentarsi in merito ed iniziare personalmente una serie di ricerche in questo campo.

Dagli anni ’70 ad oggi, la pet-therapy ha avuto un ampio sviluppo, che le ha permesso di essere applicata in diversi campi. Samuel A. Corson ed Elizabeyh O’Leary Corson condussero studi su tale tipo di terapia in un ospedale psichiatrico, dopo essere venuti a conoscenza degli studi fatti da Levinson. Utilizzarono la pet-therapy con pazienti che non rispondevano ai tradizionali metodi di trattamento, ottenendo, a loro avviso, ottimi risultati. E’ stato, infatti, da loro documentato il miglioramento di tali pazienti nelle individuali capacità comunicative e di espressione delle proprie emozioni nei confronti degli altri, migliorando il proprio senso di individualità.

Erika Friedmen e collaboratori hanno dimostrato la correlazione tra il possesso di un animale da compagnia e la sopravvivenza in caso di malattie coronariche; il dottor Katcher pubblicò uno studio che dimostrava che il contatto fisico con un animale poteva diminuire la pressione arteriosa in individui sofferenti di ipertensione. Mugford e M’Comisky compirono importanti esperimenti su gruppi di anziani soli, su cui riscontrarono miglioramenti sul loro stato di salute e sul loro umore.

In Francia, gli studi più importanti in merito sono stati effettuati dallo psicologo ange Condorcet, allievo di Levinson.

In Italia, la diffusione della pet-therapy ha avuto una diffusione più recente. Tra gli studiosi che maggiormente hanno contribuito ad approfondire l’argomento, vi è il Professor Ballerini, dell’Università di Parma. Nel nostro paese è già piuttosto diffusa l’ippoterapia e si è sperimentata con efficacia la delfinoterapia, soprattutto con bambini artistici. In alcuni ospedali psichiatrici, inoltre, sono state create piccole fattorie per realizzare programmi terapie assistite con animali.

COME FUNZIONA LA PET-THERAPY

Le ricerche condotte per valutare gli effetti di tale terapia hanno messo in luce modalità di azione-stimolo che quasi sempre si potenziano tra loro e possono venire riuniti nei seguenti meccanismi.

Meccanismo affettivo-relazionale: questo è il meccanismo d’azione più importante. L’emozione agisce in molte malattie; sulla base di recenti ricerche, tra le quali fondamentali sono quelle di Herbert Benson della Harvard University (USA), esposte nel suo libro The relaxation response (1975), tra emozione, rilassamento ed effetti sanitari benefici vi sono stretti legami. La tecnica di rilassamento, indotto fissando l’attenzione su un singolo elemento uditivo o visivo o attraverso il rapporto con un animale amico, comporta una serie di modificazioni fisiologiche che sono opposte alla risposta reattiva causata dallo stress soprattutto quello cronico. Le modificazioni fisiologiche che avvengono durante uno stato di rilassamento sono: la diminuzione del ritmo cardiaco- respiratorio, la diminuzione della pressione arteriosa, la diminuzione del tono muscolare e il rallentamento delle onde elettrico-cerebrali.

Durante le sedute di pet-therapy sono state rilevate tutti i suddetti effetti relativi allo stato di rilassamento: infatti, la diminuzione della pressione arteriosa è stata diverse volte confermata nel rapporto uomo-animale soprattutto quando il paziente era affetto da patologie cardio-circolatorie. La diminuzione del tono muscolare spiega come diverse patologie croniche che interessano l’apparato locomotorio siano fortemente beneficiate da tale terapia. Di particolare interesse sono le modificazioni nervose che comportano non solo un rallentamento delle onde elettriche-cerebrali, ma anche modificazioni neuro-ormonali. Recenti ricerche hanno, infatti, meglio chiarito il rapporto tra emozione positiva e rilassamento neuro-psichico e somatico.

Diversi studi dimostrano che la risposta neuro-psichica al rilassamento è controllata dall’amigdala che, insieme all’ippocampo all’ipotalamo, costituiscono il Sistema Libico; quest’ultimo gioca un ruolo chiave nelle emozioni, nel piacere sessuale e in svariati altri contesti in cui vi sia un’attivazione emozionale rilevante. Ricerche recenti hanno dimostrato che, almeno in parte, la pet-therapy opera attraverso le vie biochimiche della risposta di rilassamento: infatti, un rapporto uomo-animale tranquillizzante e rilassante interviene sulla produzione di adrenalina e altri ormoni corticosteroidi o "ormoni dello stress", con il risultato finale di una minore pressione arteriosa, un ritmo cardiaco-respiratorio più lento e una serie di altri benefici.

Gli ormoni glicocorticoidi, prodotti da una catena di stimoli che parte dalla neuro-ipofisi, hanno un effetto immunosoppressivo e sono causa del mantenimento di molte patologie infettive e croniche. Recentemente si è scoperto che le endorfine, molecole che il cervello produce durante una situazione emozionalmente attiva, aumentano le difese immunitarie, migliorando, quindi, la resistenza alle infezioni.

David Felten del Department of Neurobiology della University di Rochester (USA) ha recentemente affermato che ogni stato mentale che modifica l’attività ormonale ha le potenzialità per interferire sul sistema immunitario. Ciò spiegherebbe come, attraverso meccanismi emozionali dei quali si stanno precisando vie nervose e basi biochimiche d’azione, la pet-therapy possa determinare la riduzione della durata della convalescenza da malattie infettive.

Meno scientificamente preparato, ma altrettanto valido ai fini esplicativi può risultare il contributo che Giacomo Muccioli ha dato dello stesso fenomeno in relazione alla tossicodipendenza: " Gli studi sulla comunicazione non verbale permettono di comprendere quanto sia presente, in ogni essere umano, una componente per così dire ineducabile da parte delle convenzioni sociali e più prossima, proprio perché non filtrata dal linguaggio e quindi dal pensiero razionale, a quel mondo interno che è la sede delle nostre vere emozioni, dei sentimenti e degli affetti.

E’ proprio il lavoro sugli affetti, sui sentimenti e sulle emozioni a consentire la guarigione, o un alleviamento significativo, dei mali dell’anima, di cui a mio avviso la tossicodipendenza rappresenta una delle manifestazioni più evidenti e drammatiche.

La pet-therapy si muove all’interno del non verbale, agisce direttamente sul dominio delle emozioni e d ei sentimenti. Dominio decisivo per lavorare su una psiche problematica come quella di un tossicodipendente che è quasi sempre affetta da forti disturbi dell’affettività."

Meccanismo ludico: molteplici studi che riguardano il gioco hanno messo sufficientemente in luce la fondamentale importanza che esso ha per il bambino a livello emozionale, cognitivo, relazionale. La pet-therapy analizzata anche come gioco possiede, quindi, tutti quei benefici che contengono in sé le attività ludiche.

Secondo Winnicott, il bambino che gioca vive in un’area, che resta fuori da lui, ma non è ancora il mondo esterno, un luogo dove egli può raccogliere elementi della realtà esterna e porli al servizio della propria realtà interna, conferendo loro identità e importanza affettiva (oggetti transazionali).

Secondo A.Ferrari, giocare è il modo in cui il bambino trova nuove emozioni e realizza nuove esperienze: è, insomma, il modo più semplice per apprendere e modificarsi.

Secondo Bettelheim, il gioco, mentre stimola lo sviluppo intellettivo, insegna anche al bambino, senza che egli se ne renda conto, gli atteggiamenti psicologici indispensabili per l’apprendimento, come per esempio la perseveranza.

I giochi bambini-animale sono costantemente corporei e di movimento, favoriti dal fatto che l’animale (in particolare questo aspetto riguarda il cane) ha la stessa modalità di gioco e la stessa capacità di comunicazione non verbale.

In particolare, sono due gli effetti fondamentali che il gioco con l’animale ha sullo sviluppo del bambino: la scoperta e il controllo del proprio corpo, da parte del bambino e l’esplorazione progressiva del mondo circostante; questi aspetti diventano maggiormente rilevanti per ciò che riguarda i bambini disabili, che spesso sono poco motivati al movimento e sono disturbati nell’esplorazione dell’ambiente, non solo a causa della paralisi ma anche di importanti disturbi dispercettivi. Di conseguenza, da parte di questi bambini avviene spesso una rinuncia. Un disabile demotivato dalla monotonia dell’esercizio terapeutico può scoprire attraverso l’animale l’uso della perseveranza e migliorare le sue capacità d’attenzione.

Meccanismo fisico: la componete fisica della pet-therapy è indubbiamente importante e viene sfruttata in diverse occasioni. D'altronde, la maggior parte delle attività svolte con animali non possono avvenire se non associate ad un’attività motoria da parte di chi usufruisce della terapia: basti pensare all’ippoterapia, ai giochi in acqua insieme ai delfini, alle passeggiate agli esercizi di obbedienza di base e agility e a dei giochi che si possono eseguire con i cani.

A tal proposito, ritengo essenziale riproporre come elemento importante la rinuncia al movimento fisico spesso attuata dai disabili e il riuscire ad oltrepassare tale barriera nel momento in cui esso viene affrontato con l’ausilio di un animale.

Meccanismi psicologici: i benefici effetti della pet-therapy fanno capo sia all’ambito cognitivo che a quello affettivo-relazionale. Attuare una rassegna puntigliosa diventa assai difficile poiché proprio in questo tipo di terapia scindere gli aspetti prettamente psicologici da quelli fisici e dei comportamenti sociali è un’impresa quasi impossibile e forse inutile da un punto di vista esplicativo.

Tuttavia diversi sono stati gli elementi messi in luce, di volta in volta, dagli studiosi del campo; molteplici sono le ricerche che mettono in luce la possibilità che l’utente ha, durante la seduta, di dominare la propria apprensione cercando di armonizzare i rapporti sia con il terapista che con l’animale: quasi sempre, infatti, si richiede a chi si sta rapportando con l’animale di adottare con esso un comportamento adeguato al fine di non provocare danno o eccessivo fastidio all’animale. Questo sembra che faccia emergere aspetti di cura e responsabilità, determinando cambiamenti nello stile relazionale dei pazienti.

Un altro aspetto che sembra essere determinante nei cambiamenti cognitivi di chi usufruisce ti tale terapia è che proprio il rapporto con l’animale aiuta essi a formulare delle domande e riconoscere i desideri che vivono dentro di loro, cosicché si sviluppa una maggiore possibilità d’espressione unita ad un miglior uso funzionale delle proprie risorse.

Altrettanto importante è una conoscenza più approfondita del proprio corpo sia rispetto ai propri limiti che alle potenzialità che in esso stazionano.

Effetto placebo: recentemente l’efficacia della pet-therapy è stata vista anche nell’ambito del cosiddetto "effetto placebo". Come in quest’ultimo, è fondamentale tener presente come i sopra indicati meccanismi comportino un’attiva partecipazione psicologica del paziente e come i meccanismi fisici abbiano delle importanti componenti psicologiche o si associno a queste, come avviene per l’effetto placebo. È stato rilevato più volte nella pet-therapy quanto il fatto che il paziente creda che l’intervento avrà efficacia abbia avuto un ruolo determinante nell’esito positivo della terapia stessa. Oltretutto, come nell’effetto placebo, i meccanismi di tipo affettivo, emozionale, ludico e di stimolazione psicologica sono mediati da componenti di tipo serotoninico e colecistochininico ma soprattutto dopaminico.

Nonostante, per ragioni di ordine espositivo, gli effetti prodotti da tale terapia siano stati suddivisi in compartimenti separati, diverso è il modo in cui essi sono relazionati nel determinare i benefici ad essa annessi. La valenza di terapia psicosomatica germoglia proprio lì: nel non riuscire cioè a considerare gli effetti positivi sui meccanismi fisici, separatamente da quanto essi siano determinati dal sereno rapporto che l’utente stabilisce con animale e terapista e viceversa; nel non poter prescindere da una dettagliata rassegna dei mediatori neuro-chimici che sottostanno ad una sensazione psicofisica di rilassamento e di contenimento dell’ansia; del non poter definire banalmente le attività che avvengono tra uomo e animale semplicemente come gioco, ma nel metterne in luce i correlati psicologici, fisiologici e comportamentali che da tale attività sono imprescindibili.

Risulterà dunque chiaro che il separare nuovamente gli obiettivi che ci si prefigge attuando tale terapia in diverse aree ha una valenza puramente didattico-espositiva e che non si può raggiungere uno solo di essi, senza che questo comporti un cambiamento anche nelle altre aree ad esso affini.

OBIETTIVI

Area relazionale : l’interazione in un contesto sociale, quale il gruppo composto da terapisti, ausiliari, educatori del progetto e soprattutto gli animali, forma un contesto eterogeneo, non medicalizzato, diverso dal proprio spazio di vita che può servire da stimolo per allargare i propri confini relazionali. Oltretutto, essendo diversi i ruoli ricoperti dalle diverse figure con cui l’utente entra in contatto, determina una sua maggiore flessibilità relazionale. Considerando specificatamente la relazione con i cani permette di stabilire una forma di comunicazione non verbale, allo stesso tempo rassicurante e non aggressiva.

Spesso gli animali svolgono un vero e proprio ruolo di intermediazione tra pazienti e operatori, assumendo il ruolo di stimolo/rinforzo o ricompensa nei programmi terapeutici.

Area cognitiva: l’attività determina l’esercizio di alcuna abilità cognitive che, tra le altre, si cerca di far acquisire agli utenti:

La memorizzazione: sia il ricordo dei nomi degli animali che i comandi e le regole degli esercizi che si eseguono stimolano sia la memoria a breve termine che quella a lungo termine.

Le capacità attentive: gli esercizi che vengono fatti eseguire richiedono una certa dose di attenzione che viene convogliata nell’osservazione dell’addestratore e degli ausiliari che fanno eseguire gli esercizi agli animali, i cani in particolare.

La competenza linguistica: la pronuncia dei comandi associata ai gesti, per fare eseguire gli esercizi di base agli animali serve da stimolo e da rinforzo per esercitare le proprie capacità linguistiche.

La discriminazione: gli utenti stimolati a imparare e a distinguere i diversi animali, ad esempio le varie razze di animali, hanno la possibilità di ampliare le proprie capacità discriminative.

Area di orientamento spazio-temporale: i bambini, trovandosi spesso ad effettuare le sedute in spazi aperti e nuovi rispetto a quelli in cui sono abituati a vivere, dovrebbero sviluppare una maggiore capacità di discriminazione spaziale. Oltre a ciò, osservando gli spostamenti e i movimenti che effettuano, ad esempio, i cani per eseguire comandi e esercizi imparano a loro volta ad eseguirei gesti corretti per comandarli, consolidando le proprie capacità di padroneggiamento della dimensione spazio-temporale.

Area motoria: per chi, in associazione al deficit intellettivo, presenta anche difficoltà nel movimento degli arti, nei movimenti fini, nell’equilibrio, nella coordinazione, la pet-therapy presenta vari livelli di coinvolgimento adeguati alle capacità individuali.

Oltretutto venire a conoscenza di quelle che sono le potenzialità del proprio corpo, alimentando la fiducia in se stessi, nelle proprie capacità, determina in miglioramento nella performance motoria.

L’IPPOTERAPIA

L’ippoterapia è diventata una tecnica molto importante nella storia dell’uso degli animali a scopo terapeutico. Essa ha radici molto antiche: i greci, per esempio, intorno al 500 d.C. affidavano ai cavalli individui che erano considerati intrattabili o incurabili, affinché li calvacassero. Sempre nell’antica Grecia, il medico Ippocrate di Coo (478-370 a.C.) raccomandava l’equitazione contro l’insonnia e Asclepiade di Prusa (124-40 a.C.) la consigliava alle persone epilettiche e in diversi casi di paralisi.

Il primo studioso moderno a diffondere i benefici effetti dell’utilizzo del cavallo fu Chassigne a Parigi, nel 1870. Egli consigliava l’equitazione alle persone che soffrivano di emiplegia, paraplegia e altri disturbi di ordine neurologico. Soprattutto, egli si concentrò sul fatto che quando la persona andava a cavallo si sforzava di mantenere una posizione corretta e dritta sul dorso del cavallo, un rigido controllo sulla muscolatura e una coordinazione nei movimenti. Recenti ricerche confermano questa tesi.

Così come per la pet-therapy, anche per l’ippoterapia è necessario distinguere tra "hyppotherapy" propriamente detta e la "therapeuting riding". Con quest’ultima espressione si intende designare i vari usi del cavallo destinati la miglioramento della qualità della vita nelle persone disabili.

La classificazione tra le therapy riding prevede pertanto tre gruppi principali nei quali essa è suddivisa:

il primo consiste nell’andare a cavallo semplicemente come uno sport ricreativo. I benefici, tuttavia, non sono solo legati al divertimento ma anche legati a componenti psicologiche: cavalcare dona alla persona disabile una nuova prospettiva di sé, benessere, coraggio, equilibrio, con i conseguenti positivi influssi che questi elementi hanno sull’autostima.

utilizzo del cavallo per scopi mirati al trattamento terapeutico. Lo scopo di questa seconda tecnica, a differenza della prima classificazione della therapy riding, non è solo quello di insegnare come andare a cavallo possa essere educativo e divertente, ma anche cercare di far conseguire agli utenti progressi da un punto di vista psicofisico, comportamentale ed educativo. Questa prospettiva è diffusa soprattutto presso le scuole tedesche, dove i cavalli vengono introdotti per permettere la correzione di adolescenti con problemi emotivi e di inserimento sociale.

questa categoria è quella specificatamente chiamata hippoterapy che la letteratura definisce genericamente come "trattamento con l’ausilio del cavallo"; in tale trattamento il cavallo è utilizzato per il recupero di quelle persone che soffrono di disfunzioni psichiche. Anche i questo caso, lo scopo è quello di promuovere nella persona equilibrio, bilanciamento, mobilità e coordinazione dei movimenti.

L’ippoterapia è stata applicata per la prima volta nel 1965, prima in Francia poi in Danimarca e da qui è dilagata nel resto del continente europeo. Mentre inizialmente veniva utilizzata solo per curare pazienti con problemi fisici e mentali, oggi è impiegata anche per il recupero dei pazienti affetti da sindrome autistica.

Tra gli altri contesti in cui viene utilizzata l’ippoterapia sono interessanti i casi della fattoria "Green Chimneys", a New York, che dal 1945 utilizza questo metodo per aiutare i ragazzi alle prese con seri problemi di carattere emotivo e comportamentale; in Spagna, a Castellvì de la Marca, con un progetto chiamato Sac Xiroi, viene sviluppato un progetto simile: infatti Sac significa che "chiunque soffra di tali disturbi è il benvenuto" e Xiroi che "apporta felicità e piacere".

In Italia l’ippoterapia è stata avviata ventisei anni fa dall’ ANIRE, l’ Associazione Nazionale Italiana Riabilitazione Equestre; tuttavia, nonostante all’estero sia considerata una delle tecniche di riabilitazione più complete, non solo per disabili, nel nostro Paese stenta ancora a diffondersi.

Un’esauriente esplicitazione di tale metodo terapeutico viene offerta dagli autori del libro "Rieducare con l’equitazione", Renèe De Lubersac e Hubert Lallery, al quale rimando, in cui vengono esaminate dettagliatamente e approfonditamente le varie componenti che, interagendo, producono i benefici effetti associati, dalla letteratura sull’argomento, all’ippoterapia.

Così l’ippoterapia viene definita nel libro: " La R.P.E. è un metodo terapeutico globale e analitico, estremamente ricco, che interessa l’individuo nel suo complesso psicosomatico, sia che venga praticato con degli handicappati fisici o mentali (…) questo metodo attivo, se lo è, non lascia mai che l’individuo si isoli e subisca, né può essere "applicato". Esso è praticato o no".

L’ippoterapia viene considerato un metodo globale, perché sollecita una partecipazione di tutto l’organismo, senza che si possa dire quale parte dell’individuo specificatamente sia la prima ad essere interessata.

A cavallo l’individuo è preso in tutto il suo essere. Fisicamente vi è la completa partecipazione sia del sistema osteo-articolare che di quello neuro-muscolare, ma contemporaneamente può essere effettuato un movimento isolato con molta precisione. Grazie ai lavori americani, anglosassoni e francesi cominciano ad essere conosciute le modificazioni che tale tipo di terapia produce sul sistema circolatorio e sulle funzioni endocrine, agendo sulla produzione da parte del sistema nervoso di quegli ormoni, definiti ormoni dello stress.

Per quanto riguarda le funzioni neuro-muscolari, il cavaliere è sollecitato ad esercitare: la motilità globale, l’equilibrio, la coordinazione, la motilità fine, l’aggiustamento del tono, l’integrazione di schemi d’azione; stessi positivi effetti sembrano esserci sulle funzioni percettive: netti miglioramenti sono stati rilevati, infatti, nella capacità di gestire la strutturazione spazio-temporale e il senso ritmico, che oltretutto sembra avere un ruolo fondamentale nel produrre nell’utente una sensazione di rilassamento, quest’ultimo stato d’animo indispensabile per cercare i conseguire gli obiettivi che con le terapia ci si prefigge.

Poiché a cavallo è necessario saper sentire e dosare i propri atteggiamenti e i propri movimenti per raggiungere un risultato, e poiché è necessario che questo venga fatto agendo da soli, lo schema corporeo che ogni cavaliere ha di sé non può che migliorare, col progredire della terapia.

Psicologicamente, occorre dominare la propria apprensione, armonizzare i propri rapporti cavallo-cavaliere, cavaliere-terapista, cavaliere-gruppo e questo durante tutta la seduta nonché, a volte, al di là della stessa. Come era stato messo in luce, parlando genericamente della pet-therapy, anche per l’ippoterapia la comunicazione verbale ha un ruolo nettamente marginale rispetto all’espressione corporale, che il terapista osserva interpretandoli come elementi che possono veicolare in sé problemi psico-affettivi.

Particolarmente interessante è, a mio avviso, quella letteratura in merito che ipotizza che il cavallo possa essere per il ragazzo un oggetto di transizione. Cito da Winnicott: " è l’oggetto utilizzato che non fa parte del corpo del lattante e che egli pertanto non riconosce ancora completamente come appartenente alla realtà esterna." L’oggetto transizionale, tappa indispensabile implica un possesso per mezzo della manipolazione, un benessere piacevole da contatto muscolare, una difesa contro l’ansia e i sintomi d’angoscia.

LA DOG THERAPY

Poichè tutto quanto esposto nella prima parte della relazione è applicabile anche alla dog-therapy, ritengo che ciò che è ancora necessario precisare sia quali caratteristiche peculiari dei cani li renda profondamente adatti ad essere utilizzati all’interno della pet-therapy.

Tra le caratteristiche dei cani, che vengono dagli studiosi del campo rilevate come quelle che rendono questi animali così utili per la realizzazione di una terapia, sono state maggiormente rilevate: la loro socievolezza, la loro capacità di dare amore incondizionatamente, la disponibilità ad essere accarezzati, toccati, favorendo quel contatto corporeo che è tanto importante per chi utilizza il corpo come primaria fonte di comunicazione; proprio attraverso il contatto corporeo, sono in grado di infondere calma e sicurezza, favorendo una buona gestione dell’ansia; un cane può attrarre l’attenzione di una persona disorientata: l’utilizzo di questi animali con pazienti affetti da morbo di Alzheimer o che hanno uno scarso contatto con la realtà è, dunque, ritenuta molto utile poiché essi, grazie ai cani, possono essere riportati a focalizzare la propria attenzione sul presente.

Allo stesso modo, persone con difficoltà d’apprendimento, con l’ausilio dei cani, possono aumentare la propria capacità di concentrazione, osservando ciò che i cani fanno o dovendo con loro interagire in un certo modo, compiti che favoriscono un incremento nella possibilità di imparare.

Inoltre, i cani possono sollevare il morale dei pazienti, costituendo un diversivo alla routine e costituendo un possibile antidoto contro la depressione, grazie alla loro capacità di comunicare a livello non verbale e corporeo; possono stimolare la socializzazione tra i pazienti, con i volontari e gli educatori o il personale medico.

E’ bene precisare che non tutti i cani possono svolgere attività di pet-therapy: sebbene non vi siano preclusione di razze, prima di inserire un cane in un programma, occorre procedere con una visita sul suo stato di salute, un’accurata valutazione comportamentale e temperamentale da parte di educatori cinofili e veterinari, nonché un adeguato addestramento di obbedienza di base. Durante le sedute di terapia, è inoltre indispensabile osservare attentamente il comportamento dell’animale, onde evitare sottoporlo a stress dannosi, sia per la sua salute, sia per la salute dei pazienti stessi. Un cane molto stanco o troppo stressato, può, infatti, non gradire le attenzioni, talvolta esagerate, dei pazienti.

Le procedure standard che vengono utilizzate per selezionare i cani che potranno essere utilizzati per la dog-therapy fanno capo principalmente a cinque concetti fondamentali.

Affidabilità: ciò significa che il comportamento deve essere pressochè lo stesso in situazioni analoghe tra loro. Essa può accrescere con l’addestramento.

Prevedibilità: significa che il comportamento, in circostanze specifiche, può essere previsto.

controllabilità: significa che il comportamento può essere limitato, guidato o gestito.

Idoneità: essere idoneo significa essere adeguato o qualificato per uno scopo: Lo scopo, in questo caso, è rappresentato dagli obiettivi specifici che il terapista ha stabilito per la seduta.

Capacità di ispirare sicurezza.

Importante spunto di riflessione è l’osservazione fatta da Giacomo Cuccioli, in un intervento sulle metodologie e i risultati del rapporto uomo-animale nel trattamento delle tossicodipendenze, all’interno del Convegno "Il cane in aiuto all’uomo" ( Teatro di San Patrignano, 17-18 aprile 1999), in cui sostiene che la pet-therapy permette uno scambio corretto di messaggi e una modificazione comportamentale che si riflette sulla modificazione comportamentale del padrone; quest’ultimo, responsabilizzandosi, ed aumentando il proprio controllo sull’animale, aumenta l’autostima e riceve quindi un rinforzo positivo con conseguente miglioramento del suo quadro psicologico.

LA DELFINOTERAPIA

Oltre ai vissuti legati alla mitologia e al fantastico dell’uomo, alcuni dati biologici possono essere utili per capire in che modo si sviluppano le interazioni fra esseri umani e delfini. Già le origini di questi animali acquatici sono molto particolari. Sappiamo che la vita che si è sviluppata sulla terra ha avuto origine negli oceani. I delfini, però, come gli altri cetacei, hanno avuto un’evoluzione particolare: dopo essere diventati mammiferi terrestri, circa 50 milioni di anni fa hanno scelto di ritornare al mare adattandosi alla vita acquatica.

Il cervello del delfino è tra i più simili a quello dell’uomo per peso, sviluppo della corteccia e connessione tra i due emisferi. L’intelligenza di questi mammiferi è stata recentemente studiata con criteri rigorosamente scientifici (Herman). È stato dimostrato che sono capaci di riconoscere fino a cinquanta suoni o simboli corrispondenti ad altrettante parole, e che sono in grado di comprendere anche la struttura della frase agendo in modo diverso a seconda dell’ordine in cui queste "parole" vengano loro proposte. I delfini sono anche dotati della funzione dell’ecolocazione.

Gli ultrasuoni, che noi possiamo percepire alle più basse frequenze, vanno da 20000 a 150000 Hertz. In diverse occasioni è capitato che le donne in stato di gravidanza sembrano attrarre particolarmente l’attenzione dei delfini, che esaminano ripetutamente il loro addome con gli ultrasuoni.. per quanto concerne la vita sociale dei delfini essa è improntata a grande solidarietà.

I delfini sono in grado di individuare e mantenere in superficie persone in difficoltà, ma diversamente da quello che farebbero con i compagni della loro stessa specie, spingono questi esseri umani verso riva, come se capissero il loro bisogno di raggiungere la terra ferma. Oltre a questo soccorso "fisico" i delfini influenzano positivamente anche la psiche umana. Coloro che hanno nuotato con i delfini hanno avuto quasi sempre l’impressione che essi interagissero con le persone immerse come se comprendessero il loro umore: timidi e distanti con chi ha timore, giocosi con chi è eccitato, carezzevoli con chi è rilassato.

Sembra quindi che nuotare con i delfini abbia effetti positivi sulla psiche umana. Lo confermano esami elettroencefalografici effettuati in USA su persone partecipanti a corsi di nuoto, prima e dopo l’immersione.

Cenni storici

La delfinoterapia è stata messa in pratica fin dagli anni ottanta negli USA, da B.Smith e D.Nathanson entrambi docenti presso la Florida Int. University di Miami. Smith ha esaminato 8 ragazzi artistici dai 7 ai 10 anni. In alcuni casi si sono stabilite vere e proprie amicizie fra i ragazzi. Secondo Smith questo è dovuto anche all’estrema sensibilità dei delfini nei confronti di questi ragazzi e dal loro modo di giocare spontaneo, creativo e non stereotipato, capace di rompere anche l’isolamento degli artistici.

Analoghi risultati si sono ottenuti presso il Seaworld di Southort, in Australia dove invece l’altro ricercatore, Nathanson ha invece seguito la strada dell’apprendimento. 6 bambini con ritardi dell’apprendimento di varia natura sono stati sottoposti alle stesse prove (pronunciare il nome di un oggetto o riconoscere una parola scritta, a seconda del livello raggiunto) con delfini o senza, una volta a settimana per un periodo di sei mesi.

In Gran Bretagna Horace Dobbs ha condotto esperienze in mare aperto con persone sofferenti di gravi disturbi depressivi ottenendo in alcuni casi risultati insperati.

Attualmente si stanno svolgendo programmi per ragazzi artistici o gravemente handicappati anche a Eilatt in Israele, sebbene i risultati non siano ancora noti. La delfinoterapia è stata introdotta in Italia nel 1993 dall’associazione ARION che intende confermare, attraverso evidenze scientifiche, i risultati ottenuti all’estero. Dopo l’esame dei questionari e 50 ore di immersioni videoregistrate di volontari senza gravi patologie, che hanno tutti evidenziato effetti psicologici positivi per i partecipanti e molto interesse e spontanea partecipazione da parte dei delfini, si è passati a ragazzi, alcuni dei quali handicappati, e adulti depressi. Numericamente parlando, i dati a disposizione non sono ancora molti ma ci sono stati casi individuali con sviluppi molto interessanti.

Ma come e perché funziona la delfinoterapia ? Le risposte a tale quesito non sono univoche. Le ricerche finora svolte, sia in Italia che all’estero, hanno mirato soprattutto a quantificare i miglioramenti riscontrati, a seguito dell’incontro con i delfini, in persone sofferenti di disturbi psichici.

Solo occasionalmente sono stati elaborate ipotesi sui motivi per cui questi animali sembrano avere un effetto "curativo". Il dottor Nathanson, come l’Aqua Tought Foundation, ritiene che la risposta sia da ricercarsi nelle variazioni delle onde cerebrali (sebbene non sia chiaro come queste variazioni vengano indotte), che denoterebbero soprattutto una notevole riduzione dello stress. Horace Dobbs e diversi studiosi australiani ritengono che siano soprattutto i suoni e ultrasuoni, emessi dai delfini, i responsabili dei cambiamenti negli esseri umani.

Tuttavia l’ipotesi attualmente più accreditata è quella che attribuisce l’efficacia della delfinoterapia ad un complesso di fattori, che vanno dall’immersione nell’acqua al contatto fisico e alo scambio giocoso con gli animali. L’immersione nell’acqua è di per sé un’esperienza particolare, per il legame concreto, e l’acqua salata aiuta a sciogliere alcune rigidezze corporee che spesso corrispondono a blocchi emotivi; fornisce un sostegno che facilita l’equilibrio, la fluidità del movimento e le sensazioni di rilassamento che ne derivano. Il flusso dell’acqua, infine, offre una stimolazione tattile che migliora al percezione del proprio corpo. La presenza dei delfini sembra moltiplicare gli effetti positivi del contatto con l’acqua. Tutte le testimonianze raccolte indicano che l’incontro con queste creature è un’esperienza eccezionale, profondamente coinvolgente a livello psichico, forse a motivo della componete immaginaria e fantastica che ha dato origine a tanti racconti mitologici.

Offre gratificanti opportunità di scambio, basate sul gioco e sul contatto fisico, che portano la comunicazione ad un livello accettabile anche per le persone più chiuse in se stesse, come nel caso degli artistici.

Altro aspetto importante della sperimentazione è l’intensificazione delle attività educative e riabilitative quotidiane fuori dal delfinario, che negli anni scorsi sono state delegate quasi totalmente alle famiglie. Infatti si è verificato, nel passato, che l’integrazione dell’esperienza con i delfini nella vita di tutti i giorni è un fattore importante per la stabilizzazione degli eventuali progressi compiuti.

By NUNZIA CONIGLIO : http://www.sicap.it/merciai/psicosomatica/students/pet2.htm

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